L'oratorio della Santissima Trinita'


L'ORATORIO DELLA SANTISSIMA TRINITA'

E' un piccolo oratorio di proprietà della parrocchia sorto per la sosta dei pellegrini che percorrevano la Via Francisca Novarese sulla direttrice Novara-Borgomanero-Lago d’Orta, fu poi modificato e ampliato nel corso del tempo, in base ai bisogni sempre crescenti. La semplicità delle forme esterne, si contrappone ad un interno che cela la sua vera meraviglia: varcando la soglia è come entrare in una bibbia e leggere le storie della vita di Gesù attraverso gli affreschi dai colori vividi e intensi, realizzati dalla bottega dei Cagnola e da quella di Giovanni Antonio Merli, artisti molto attivi nel territorio tra XV e XVI secolo. A questi si aggiungono gli affreschi del Giudizio Universale, della Trinità, mentre all’esterno il moderno viandante, così come l’antico pellegrino, viene accolto da un San Cristoforo dipinto nella sua iconografia più classica.

PER VISITE GUIDATE AGLI AFFRESCHI

 da Aprile a Settembre

tutte le domeniche

dalle 15.00 alle 18.00

in altri momenti su prenotazione

contattare:

Liliana 3358226736

PER CELEBRAZIONI LITURGICHE

contattare:

don Liborio Lanza 3207958474


Una tappa sulla Via Francisca

L'Oratorio della Santissima Trinità, alla periferia nord di Momo, sorge a lato di un itinerario antico di notevole importanza storica, la strada che da Novara si dirige al Lago d'Orta e, di là, oltralpe attraverso la Val d'Ossola e il valico del Sempione. A sud di Novara, inoltre, questa strada scende attraverso Mortara e la LomelIina, per raggiungere poi la Liguria. Gli statuti di Novara risalenti al XIII secolo chiamano questo itinerario col nome di Via Francisca, ossia strada di Francia, mentre il notaio e cronista novarese Pietro Azario nella seconda metà del Trecento lo chiama Camino Francischo: era infatti uno dei percorsi che dalla pianura padana permettevano di raggiungere i passi alpini e di portarsi nelle terre del regno di Francia. L'itinerario era già importante e frequentato in età antica, come dimostrano le numerose testimonianze di epoca romana costituite da un gruppo di cippi e di are provenienti dall'area di San Genesio a Suno. Nei pressi dell'oratorio, inoltre, un altro percorso trasversale al primo, la cosiddetta via Crosa (cioè 'via infossata') muoveva verso ovest in direzione del vicino torrente Agogna. Dopo averlo guadato nel luogo detto Vadobarone, si trovava il primitivo insediamento di Barengo, situato attorno alla chiesa (ora campestre) di San Clemente, da dove si raggiungeva la strada sottocollinare diretta anch'essa a Borgomanero, attraverso Cavaglietto, Cavaglio e Fontaneto.

L’origine dell'oratorio della Santissima Trinità, secondo le indagini degli storici dell'architettura, si colloca verso la metà dell'XI secolo e si suppone legata alla necessità di offrire un punto di sosta e di assistenza a chi percorreva la Via Francisca, come viandante, mercante o pellegrino. Con la datazione proposta si accorda anche quanto si sa della diffusione del culto alla Santissima Trinità, che fu promosso soprattutto a partire dai secoli X e XI per opera dei monaci benedettini di Cluny; a questo proposito, si ricorda che a breve distanza da qui, nelle vicinanze di Cavaglietto, fu istituito verso il 1090 il monastero femminile delle benedettine cluniacensi, dipendente dal priore del monastero di Castelletto Cervo nel Biellese. Del primitivo oratorio, probabilmente ad una sola navata, rimangono alcune parti murarie nell'abside e il fusto del massiccio campanile, forse utilizzato in passato anche come torre di avvistamento.

L'oratorio dal '300 all'800

La prima menzione dell'oratorio in documenti scritti è piuttosto tardiva: lo si trova citato come possessore di beni fondiari nel 1347, all'interno del volume dei consegnamenti delle proprietà ecclesiastiche di tutte le chiese della diocesi richiesti dal vescovo Guglielmo de Villana, o Amidani. Nel corso del secolo XV l'edificio fu sottoposto a interventi che portarono alla costruzione dei due archi trasversi ogivali interni che suddividono l'unica navata in tre campate. Agli inizi del '500 fu invece edificata la piccola cappella aperta, addossata all'esterno dell'abside e rivolta verso la Via Francisca in modo da essere visibile anche da chi percorreva la strada. A quel tempo l'oratorio era aperto verso occidente, mediante una grande arcata chiusa da cancelli in legno, e preceduto da un semplice portico su due pilastri; soltanto nei primi decenni del '600 l'arcata fu chiusa, ottenendo così la facciata a muratura piena come si vede oggi. Nel frattempo, nell'ultimo decennio del '500, il campanile era stato dotato di una nuova cella campanaria per ospitare la campana realizzata nel 1592, e verso nord era stata costruita (su ordine del vescovo Carlo Bascapè) una sacrestia.

A partire dal 1613 si insedia presso l'oratorio un custode, chiamato "eremita", per il quale viene edificata una piccola abitazione con pozzo ed orto. La vita dell'eremita, un laico affiliato al Terz'Ordine francescano, si sostentava con le offerte dei fedeli, da lui stesso raccolte questuando nei villaggi e nei cascinali dei dintorni, oltre che con i prodotti dell'orticello e di alcune piante da frutto. La presenza dell'eremita è documentata fino alla fine del 700.

La festa della Santissima Trinità

Varie testimonianze informano del grande richiamo che aveva in passato (e che ha ancora oggi) la festa annuale della Santissima Trinità, celebrata nella domenica successiva alla Pentecoste, quindi in una data variabile dell'anno legata alla ricorrenza della Pasqua.

La partecipazione di persone provenienti da tutti i paesi dei dintorni, la presenza di venditori ambulanti di tessuti, attrezzi da lavoro e animali da cortile, con l'immancabile allestimento di mescite di vino, poteva anche essere motivo per qualche disordine, come accadde nel 1768 quando il vescovo Marc'Aurelio Balbis Bertone dovette decretarne la sospensione. Il vivace mercato in occasione della festa è descritto nel 1886 dallo storico locale mons. Luigi Maggiotti nei termini seguenti: «ogni anno se ne celebra la festa. Vi accorre molta gente, massime dai paesi circonvicini, e lungo la detta strada [la provinciale da Momo a Borgomanero] dai due lati si fa un mercato di stoffe, di cappelli di paglia, di arnesi campestri e di altri generi, e specialmente di gran numero di paperi. Si improvvisano con frascati ridotti, che servono di caffè e di osteria e per vendita di commestibili. Vi intervengono a solazzo del popolo ciarlatani e saltatori».

Oggi alla ricorrenza intervengono fedeli provenienti da Barengo e da Vaprio d'Agogna, oltre che da Momo, accompagnati dai rispettivi sindaci.

L'esterno

Chi si avvicina all'oratorio della Santissima Trinità provenendo dalla attuale strada provinciale 229 (l’antica Via Francisca) vede per prima cosa la cinquecentesca cappellina addossata al muro esterno dell'abside. Aperta e perciò visibile dalla strada, essa ospita sull'altare l'affresco della Madonna del presepio, inginocchiata in adorazione del Bambino Gesù (opera della bottega dei Cagnola, fine del XV secolo o inizio del XVI, incorniciata da stucchi barocchi). Dietro alla cappellina, la porzione visibile del muro absidale porta un dipinto molto sbiadito, coevo al precedente, ormai illeggibile; presso lo spigolo adiacente è rappresentato San Grato, il vescovo di Aosta invocato contro i temporali e le grandinate e, al di sopra, una croce di color rosso su un quadrato bianco, che prima della costruzione della cappellina sul retro doveva essere ben visibile dalla strada e forse segnalava la possibilità di trovare un luogo di sosta riparato per i viandanti. Sulla parete meridionale dell'oratorio si vedono ancora bene i dipinti raffiguranti i Santi Antonio Abate (con la campanella, che annunciava l'arrivo dei questuanti dell'ordine antoniano, e il fuoco, che ricordava la temibile malattia del "fuoco di Sant'Antonio", l'herpes zoster di cui il santo era ritenuto guaritore) e Giulio, il sacerdote evangelizzatore dell'alto Novarese e del Cusio nel IV secolo (con il bastone pastorale). Un Cristo in Pietà, o Cristo dei dolori, è dipinto sopra l'attigua porticina laterale, mentre a sinistra di essa si veda la grande immagine di San Cristoforo che porta sulla spalla il Bambino Gesù: considerato protettore dei viandanti (e in particolare di coloro che si apprestavano a guadare un corso d'acqua) il santo era raffigurato sempre all'esterno delle chiese e in dimensioni superiori al naturale, poiché era diffusa la convinzione che nessuno sarebbe stato colto da morte improvvisa durante un viaggio finché avesse potuto vedere la sua figura. Tutti questi dipinti risalgono al '500.

L'interno

Dal rustico porticato seicentesco che precede la facciata, si accede ad un vestibolo, costruito all'inizio del '600 a chiusura dell'edificio sacro, che fino ad allora era aperto sul lato anteriore. Le pareti interne del vestibolo presentano due grandi affreschi (datati all'aprile 1538 e fatti eseguire a spese di Antonius de latino come si legge a destra dell'arco, in alto) attribuiti alla bottega di Sperindio Cagnola, quello tra i figli del pittore Tommaso più sensibile alle novità della pittura rinascimentale. Essi rappresentano II trasporto della Santa Casa di Loreto ad opera degli angeli (sopra l'arco che immette nella navata), su di un chiaro sfondo azzurro di cielo e di mare, e l'Assunzione della Vergine Maria (alla parete nord). Ai lati dell'arco altri dipinti di minori dimensioni sono a sinistra il Martirio di Sant’Apollonia (datato 1520), a destra in alto una coeva Madonna col Bambino ed un'altra in basso riquadrata da una cornice barocca in stucco.

Dal grande arco si passa alla navata che, dopo le ristrutturazioni del XV secolo, si presenta suddivisa in tre campate da archi trasversi a sesto acuto (secondo un modello che si diffuse nella prima metà del ‘400 a partire dalle chiese dei francescani osservanti), e conclusa ad oriente dall'abside romanica semicilindrica. Le coperture del vestibolo e dalla navata sono con i tetti a vista, con rivestimento di tavelloni laterizi.

Ciò che maggiormente colpisce il visitatore, appena entrato nell'oratorio, è la ricchezza multicolore della decorazione affrescata, che ricopre interamente le pareti della navata e dell'abside, gli archi e i loro intradossi, nonché gran parte del vestibolo. Mentre gli affreschi di quest'ultimo risalgono all'avanzato secolo XVI, quelli della navata e dell'abside sono della fine del XV o degli inizi del XVI, opera di due o tre pittori diversi sebbene provenienti da un medesimo ambito, quello dei frescanti novaresi Tommaso Cagnola e Giovanni Antonio Merli, le cui rispettive botteghe sono caratterizzate da stretti rapporti di collaborazione e amicizia, oltre che da alleanze matrimoniali. Questi maestri risultano attivi in molte chiese della pianura novarese e vercellese, dalla bassa fino alle colline che circondano i laghi d'Orta e Maggiore e all'imbocco delle vallate prealpine. In più di un caso le loro botteghe vi hanno realizzato cicli decorativi e serie di immagini devozionali, come negli oratori di San Sebastiano ad Arborio (VC), di San Marcello a Paruzzaro (NO), della Madonna del Latte a Gionzana (frazione del comune di Novara), di Santa Maria Nova a Sillavengo (NO), della Madonna dei Campi a Landiona (NO) o di Sant'Antonio Abate di Ometto presso la frazione di San Bernardino nel comune di Briona (NO). La caratteristica che però distingue gli affreschi della Santissima Trinità di Momo dagli altri esempi citati, facendone un unicum nel panorama pittorico novarese di fine Medioevo, è l'unità tematica, data dal fatto che sulle due pareti laterali nord e sud si sviluppa un solo e coerente ciclo narrativo, quello della Vita di Cristo; negli altri casi invece questo tema (quando c’è) è sviluppato su di una sola parete (generalmente quella sud come a Paruzzaro, Arborio e Landiona, dove però il ciclo si limita alla Passione e Resurrezione), mentre le altre parti dell'edificio sacro (esclusa l’abside) accolgono singoli pannelli pittorici a carattere devozionale, raffiguranti santi e sante diversi spesso anche replicati più volte, commissionati da altrettanti e differenti devoti. La coerenza del ciclo pittorico di Momo, al contrario, sembra presupporre una committenza unica, forse aristocratica o forse comunitaria, sebbene ancora rimasta anonima.

Questa unità tematica degli affreschi della Santissima Trinità di Momo è stata spesso sottolineata negli studi, che si sono però spinti fino ad includervi anche l'affresco della parete frontale, al di sopra dell'arco trionfale (raffigurante l'Annunciazione). È forse invece opportuno sottolineare che, anche qui come nella generalità degli edifici sacri medievali, la distribuzione della decorazione parietale segue un criterio fondamentale, che è la netta distinzione tra i dipinti che ornano abside e parete frontale, da un lato, e quelli che ornano le pareti longitudinali della navata e la controfacciata, dall'altro: i soggetti dei primi, infatti, obbediscono a criteri strettamente teologici, legati alla destinazione specifica della zona absidale (dove è sito l'altare sul quale si celebra il sacrificio della messa), mentre i soggetti dipinti nelle navate si riconducono alle variegate e occasionali istanze devozionali espresse dai fedeli, oppure (come nel nostro caso) ospitano un ciclo narrativo ispirato in genere ai Vangeli o alle vite dei santi. A Momo le poche immagini di santi sono collocate sull'intradosso dei due archi trasversi.

Sulla base di queste considerazioni, la presentazione degli affreschi dell'oratorio si articolerà in due sezioni, dedicate rispettivamente alla zona absidale e alla navata, trattando a parte la controfacciata.

Gli affreschi della zona absidale (fig.1 )

La parete frontale soprastante l'arco trionfale ospita, come di consueto, la raffigurazione dell'Annunc/az/one, con l'arcangelo Gabriele a sinistra (con in mano un giglio a tre fiori, che alludono alla verginità di Maria prima, durante e dopo il parto) e la Vergine Maria a destra (inginocchiata in preghiera), mentre l'Eterno Padre stende dall'alto le sue mani verso di lei; le prime parole dell’Ave Maria, pronunciate dall'arcangelo, sono scritte nello spazio tra le figure. La calotta dell'abside presenta la Trinità nella forma detta del Trono di misericordia, con Dio Padre, seduto sull'arcobaleno, che regge il Figlio in croce, e lo Spirito Santo in forma di colomba. Seffe angeli, di cui due con strumenti musicali, attorniano la mandorla iridata della Trinità. Sotto questa scena sono raffigurati gli apostoli, tutti identificati dal nome scritto sulla fascia di color bianco che delimita in alto i riquadri pittorici, a partire da Pietro (sul piedritto di sinistra dell'arco trionfale) fino a Matteo (sul piedritto di destra), recanti fra le mani i simboli che sono propri a ciascuno di essi (le chiavi per Pietro, una penna per Giovanni, bastone e cappello da pellegrino per Giacomo il Maggiore, il coltello per Bartolomeo, la croce per Andrea) e tutti con un libro. Linteresse maggiore dell'abside sta però nello zoccolo in basso, sul quale sono rappresentate in altrettanti riquadri le seffe Opere di misericordia corporale, un tema che nella pittura novarese della seconda metà del XV secolo sostituì gradatamente quello più antico ispirato ai lavori nei mesi dell'anno.

 

 

Procedendo da sinistra verso il centro si vedono rappresentati Dar da mangiare agii affamati, Dar da bere agli assetati, Ospitare i pellegrini, mentre dal centro verso destra si hanno Vestire gli ignudi, Visitare i carcerati, Visitare gli infermi e Seppellire i morti.

Lo spazio al centro dello zoccolo è privo di decorazione, in quanto vi era addossato in origine l'altare in muratura. Il significato generale della decorazione absidale è dunque duplice: anzitutto di carattere dottrinale (la fede nell'incarnazione del Figlio di Dio, attraverso l'Annunciazione, nella sua morte in croce per la redenzione dell'umanità, e nell'annuncio del vangelo tramite la testimonianza degli apostoli), in secondo luogo di carattere morale (l'invito a seguire e imitare Cristo compiendo le opere della carità, nelle scene dello zoccolo).

Gli affreschi della zona absidale (fig.2)

Sulle pareti longitudinali della navata si svolge invece un unico ed esteso ciclo narrativo, quello della Vita di Gesù, le cui fonti sono innanzitutto i quattro Vangeli canonici di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, ma anche quelli apocrifi.

Degli originari 36 riquadri del ciclo, due sono andati perduti per l'apertura di una finestra sul fianco sud e di una porta su quello nord.

Le scene sono disposte su tre registri e la loro lettura inizia dalla parete sud della campata orientale, più vicina all'abside, prosegue alla parete opposta della medesima campata, quindi passa alla campata centrale (parete sud e parete nord) e termina in quella occidentale vicina all'ingresso (parete nord e parete sud): il fedele è quindi invitato ad iniziare la sua meditazione sulla Vita del Salvatore partendo da oriente, presso l’altare, e a proseguirla spostandosi gradualmente ad occidente, verso l’uscita, in modo da portarne con sé gli episodi e gli insegnamenti quando sarà uscito dallo spazio sacro della chiesa e ritornato in quello del mondo esterno.

Nel ciclo narrativo le prime 14 scene (di cui una è perduta) comprendono l’infanzia, l’adolescenza e la vita pubblica di Cristo, ispirate soprattutto ai Vangeli di Luca e Matteo, ma anche a narrazioni apocrife (i due miracoli compiuti da Gesù adolescente);

le successive 16 (anche qui una è scomparsa) raffigurano la sua passione e morte (dalla cena in casa di Simone il lebbroso fino al compianto sul Cristo morto); le ultime 6 sono invece dedicate agli eventi successivi (dalla Risurrezione alle apparizioni del risorto, compresa quella a sua madre Maria, non riferita da nessuno dei quattro Vangeli canonici).

Due riquadri, invece, non appartengono al ciclo narrativo. Si tratta del Peccato Originale di Adamo ed Èva (parete sud della campata centrale, a fianco della porta laterale) e dell’inferno (alla parete nord della campata vicina all’ingresso, sotto le due scene della Morte di Gesù in croce e del Compianto sul Cristo morto).

 

Gli affreschi della controfacciata (fig.3)

La rappresentazione dell’inferno si inserisce fra i temi che caratterizzano la parete di controfacciata.

Al di sopra dell'arco d'ingresso, infatti, è raffigurato il Giudizio Universale, col Cristo giudice assiso sull'arcobaleno che tiene una fiaccola accesa rivolta verso il basso, con la quale alimenta il fuoco dell'inferno. Ai suoi lati stanno le sante (a sinistra) e i santi

(a destra), rispettivamente presentati a Cristo dalla Vergine Maria (che mostra il seno nudo, simbolo dell'abbondanza della grazia divina) e da San Giovanni Battista, che fiancheggiano Cristo secondo l'antico schema della déesis di origine bizantina. Ai piedi del Cristo, due angeli trombettieri annunciano il giudizio, reggendo la colonna e la canna con una spugna, simboli della passione redentrice subita da Gesù. All'estremità destra della scena spicca la grande figura dell'Arcangelo San Michele nell'atto di pesare le anime, col demonio sconfitto sotto i suoi piedi. All’estremità opposta, in un riquadro separato, è raffigurato il Limbo, in cui le anime dei non battezzati stanno a mani giunte dentro una oscura caverna.

Nel registro sottostante, a destra dell'arco è rappresentato invece il Limbo dei bambini morti senza battesimo, mentre a sinistra dell’arco si vedono le Anime del Purgatorio, immerse tra le fiamme purificatrici dentro un calderone sotto il quale due diavoli alimentano il fuoco con legna e un soffietto: l’atteggiamento orante e fiducioso delle anime chiarisce che si tratta appunto del Purgatorio, spesso così raffigurato nella pittura del '400, e non dell'inferno. Questo, come si è detto, compare invece sull’attigua parete nord della prima campata. Anche la collocazione delle scene del Giudizio finale con i quattro luoghi dell'Aldilà (Paradiso, Purgatorio, Limbo, Inferno), come per le raffigurazioni dell'abside, obbedisce a una tradizione consolidata fin dall’alto Medioevo: le immagini relative alle realtà ultime (i "novissimi") dovevano essere un monito e un invito per il fedele che, dopo aver ascoltato la Parola di Dio e aver partecipato all'Eucarestia, usciva dalla chiesa e si apprestava a vivere la sua vita terrena come preparazione di quella ultraterrena.

La decorazione pittorica degli archi

Gli intradossi dei due archi trasversali ospitano infine raffigurazioni di angeli e santi. Sul primo arco (quello più vicino all'ingresso), a sinistra è una figura di santo non più riconoscibile, seguita da San Bernardo d'Aosta col demonio incatenato, mentre a destra sono una santa (anch'essa non più riconoscibile) e Santa Barbara (con la torre in mano); la mano benedicente di Cristo è dipinta alla sommità dell'arco. Il secondo arco trasverso presenta invece a sinistra una Madonna in trono col Bambino in grembo, quindi San Biagio vescovo', a destra Sant'Agata e San Gottardo vescovo; un busto di Cristo è invece alla sommità dell'arco. Le figure dei due santi vescovi sono state danneggiate dall'inserzione della trave in epoca barocca. La funzione di queste immagini poteva essere votiva (ma nel nostro caso non compaiono le consuete scritte che indicano i nomi dei devoti committenti e le date di realizzazione), ma anche rassicurante per il fedele, che contemplandole si affidava alla protezione dei santi e alla loro intercessione contro i pericoli del viaggio (San Bernardo) e del fuoco (Santa Barbara), delle malattie della gola (San Biagio) o di quelle legate all'allattamento e alla cura dei neonati (Sant'Agata e la Madonna col Bambino). Tipico soprattutto della bottega di Giovanni Antonio Merli è il motivo a grandi girali stilizzati di color verde con infiorescenze rotonde rosse e bianche che decora i muri frontali degli archi. Nel loro insieme, gli affreschi di Momo come quelli coevi di altre chiese campestri del Novarese, si distinguono per il .vivace colorismo e per un'attenzione ai particolari (l'abbigliamento e i tessuti operati, le architetture e gli arredi) che, pur nella loro ingenuità e semplicità di costruzione spaziale, li rende testimonianze significative della cultura e delle aspettative delle classi popolari, della piccola nobiltà e del clero delle campagne di fine Medioevo tra Ticino e Sesia. Questi aspetti, attinenti alla storia del costume e della cultura materiale, compensano largamente l'evidente scarto che vi è tra le opere dei pittori tardo- gotici locali (i Cagnola, i Merli, i De Bosis) e quelle della generazione loro contemporanea formatasi in ambiente milanese, il cui maggior esponente (Gaudenzio Ferrari) già nei primi anni del '500 dava prova dei nuovi indirizzi del Rinascimento.

 

TESTI di Franco Dessilani che si ringrazia per la gentile concessione, tratti dal pieghevole  "Oratorio della Santissima Trinità" a cura dell'ATL Turismo Provincia di Novara.

 


La testimonianza della fede attraverso l'arte

Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico”.
(Joseph Ratzinger ‘Introduzione al catechismo della Chiesa cattolica)
Quando si entra in questo piccolo gioiello si rimane stupiti da tanta bellezza. Infatti l’arte cristiana ha uno scopo ben preciso rendere visibile l’invisibile: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv.14,6-9); “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv.12,45);
L’arte Cristiana ha la capacità, a volte meglio della parola scritta, di rendere visibile, tangibile e ‘abitabile’ il mistero rivelato nella vita di Cristo e della Chiesa.
Ed è proprio a questa bellezza che papa Francesco fa riferimento al n.167 dell’Evangelii Gaudium: È bene che ogni catechesi presti una speciale attenzione alla “via della bellezza” (via pulchritudinis).

Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù. Molto tempo prima che esistessero i catechismi scritti, la Chiesa si è sistematicamente servita dell’arte per comunicare i contenuti della fede perché immagine e parola si illuminano a vicenda. Le immagini, con la loro bellezza, sono annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità, mostrando la suprema armonia tra buono e bello. Questo è particolarmente significativo nella nostra epoca dominata dal visuale. Si tratta di riscoprire, accanto al Libro ispirato, il valore del ‘libro visivo’, che suscita tante domande legate ai simboli che ormai sono troppo lontani dalla nostra cultura, ma che spiegati aprono vasti orizzonti : permettono che l’opera d’arte “parli”, cioè trasmetta quel messaggio di fede  di una comunità per la quale è stata voluta.


Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.