Chiese ed Oratori di Momo

Le chiese e gli oratorii di Momo, per numero e per importanza, attestano la devozione e la generosità del popolo.

Troviamo infatti registrati nella storia ben otto oratorii, oltre la chiesa parrocchiale. Non tutti sussistono ancora: alcuni sono scomparsi del tutto; altri han lasciato solo qualche rudere a testimonio della loro esistenza.

Scomparso del tutto è l’oratorio di S. Sebastiano, che sorgeva a mezzogiorno dell’abitato, precisamente nel luogo dove si stende ora il piazzale del cimitero, era di patronato della nobile famiglia Avogadro. Del tutto scomparso è pure l’oratorio di S. Quirico, fondato dal prete Giseprando di Momo con testamento del 969, affinché vi si officiasse per l’anima sua. Sorgeva un chilometro a nord del paese, nella regione detta ancora S. Quirico.

Durante una delle tante pestilenze, che desolarono il paese, si seppellirono i morti nelle vicinanze di questo oratorio: e questa è la ragione per cui un tempo la processione, passando di là, si fermava e faceva le esequie.

Di altri oratorii rimane qualche vestigio. Un mucchio di sassi, in regione Savonera, testimonia l’esistenza dell’oratorio di S. Zenone. Aveva annesso un beneficio per un chierico ed era di patronato dei nobili Cattaneo. Un mozzicone di torre, a nord del paese, tra la ferrovia e la regionale 229 del Lago d’Orta, indica il posto dell’antico oratorio di S. Pietro. La torre serviva anche da campanile, ed era in corrispondenza di segnalazioni con quelle di Cavaglietto, di Cavaglio d’Ag. e di Fontaneto. Aveva annesso un beneficio chiericale ed era esso pure di patronato dei Cattaneo.

Più lunga e più interessante pei viventi è la storia dei quattro oratorii che ancora sussistono.

Uno è la chiesa della SS. Trinità, antichissima, con soffitto a travetti e pianelle; dal tetto al pavimento è dipinta a fresco da mano pregevole di fine secolo XV. Ogni anno si celebrava la festa con grande pompa e concorso dai paesi vicini, con impianti di baracche e di osterie, mercato e saltimbanchi. Alle volte accaddero risse e disordini tali, che il Vescovo Balbis Bertone nel 1768 proibì la festa e fece chiudere la chiesa per parecchio tempo.

In paese abbiamo l’oratorio di S. Martino, Vescovo.

Aveva annesso un beneficio che riuniva in sé anche quelli dei distrutti oratorii di S. Zenone e di S. Pietro.

Tale beneficio, di cui ultimo investito fu il Canonico Francesco Fasola di Novara, fu soppresso e incamerato nel 1855. Durante la guerra (1799) fra la Repubblica Cisalpina sostenuta dalla Francia e l’Austria unita con la Russia, i Cosacchi del Gen. Suvaroff alloggiarono in questo oratorio, ne abbruciarono le porte e lo profanarono con spargimento di sangue. Da quel giorno rimase chiuso fino al 1850, anno in cui per interessamento dell’arciprete Andrea Silva, fu ristaurato, ribenedetto e riaperto al pubblico culto.

Appena fuori del paese e a nord del medesimo sorge l’oratorio di S. Rocco; eretto dai momesi per voto e protezione contro la peste.

Durante il tremendo flagello che nel 1629/1631 ridusse a trecento i settecento abitanti di Momo, gli appestati si rifugiavano nelle capanne attorno a S. Rocco e lungo la roggia, per miglior aria. Quivi molti morivano in breve tempo come fuori di sé, e venivano sepolti innanzi alla propria capanna.

Bartolomeo è l’ultimo oratorio di cui dobbiamo fare menzione.

Era la chiesa del monastero delle Umiliate, uno dei due monasteri che esistettero in Momo fino al 1682. Essendo passate in quell’anno le suore a rinforzare il monastero di Novara, l’oratorio fu ridotto ad uso profano. Dieci anni dopo fu riaperto al pubblico ma per poco, perché nel 1805 sia i beni del monastero sia l’oratorio furono incamerati e venduti a Carlo Cagnardi. Nel 1896 don Giuseppe Silva, fratello di don Andrea defunto arciprete di Momo, comprò l’oratorio dai fratelli Vittorio e Felice Magretti, e lo ridonò al culto ad uso del Terz’Ordine Francescano e delle Figlie di Maria.

E veniamo alla chiesa principale, che è la Parrocchiale.
Essa è antichissima, e faceva parte del famoso castello di Momo; si chiamava anzi S. Maria in Castello. Non era così grandiosa ed elegante come oggi, ma bassa e massiccia, con soffitto a travetti e pianelle, come l’attuale oratorio della SS. Trinità. Nel 1684 l’arciprete Bernardino Zoppis, sizzanese, la rimaneggiò profondamente innalzando e costruendo il soffitto a volta; rifacendo il coro, la sacrestia e l’oratorio dei confratelli. In quel tempo, e precisamente nel 1698, il parroco fu insignito del titolo perpetuo di arciprete.
Nell’anno 1860 l’arciprete Andrea Silva costruiva il tempietto per i santi Zeno e Tecla; ne estraeva i corpi dalle due cassette di piombo che riposavano sotto l’altare maggiore, e li riponeva nelle attuali artistiche casse di legno, disegnate da Marietti e scolpite da Francesco Sella.

don Pietro Gramoni

Agosto 1935 - Dal “Numero Unico” edito in occasione della ricorrenza della Solenne Traslazione Giubilare dei santi Zeno e Tecla.