LA CHIESA PARROCCHIALE

 

La chiesa parrocchiale di Momo oggi intitolata alla Natività della Beata Vergine Maria deriva dalla Chiesa di Santa Maria de castro Mummi documentata a partire dal XII secolo, ed era situata entro il perimetro del castello, con il cimitero verso oriente e la casa del Rettore a mezzodì.

I nobili De Capitaneis ne rivendicarono sempre la supremazia, con la prerogativa di Patroni Advocali et Fondatores, come si legge in un atto del 19 novembre 1406, stipulato dal notaio Johanninus de Mommo, sotto il palazzo del Comune di Novara, mediante il quale esercitarono lo jus patronato di nomina e di presentazione al Vescovo Gioanni de Urbe del nuovo Rettore e beneficiario nella persona di Bartolomeo, figlio di Gualino de Capitaneis. I fratelli Gioanne e Franceschino, in conseguenza della morte del Rettore Gioanni di Paolo Cattaneo, scelsero il suo successore, avendolo giudicato idoneo, lette­rato e procreato da legittimo matrimonio.

Delle antiche mura non rimangono che alcuni resti incorporati nel basamento interno del campa­nile. La nuova chiesa venne riedificala in epoca imprecisata, ma presumibilmente nel periodo tra il 1555-60; fu consacrata il 3 giugno, ma se ne ignora l’anno. In occasione della visita pastorale del Vescovo Spe­ciano, avvenuta il 2 luglio 1590, la chiesa si presentava ormai ultimala, salvo alcuni dettagli; non era an­cora stata eseguita la scalinata anteriore, tanto che l’accesso risultava disagevole per il dislivello. Il campanile era ormai ultimato ed in grado di accogliere due campane. La prima del peso di 30 rubbi (circa kg 240), venne issata due anni più tardi, come testimonia la fusione in bronzo con la data 1592 - 22 oct. e recante un Crocifisso, la Madonna e San Gaudenzio, con la scritta Laus Deo Beateque Virg. Marie – Communitas fecit fieri.

La seconda campana del peso di 22 rubbi (circa kg 75) venne fusa nell’anno 1611 sempre a spese della comunità; anche questa reca le stesse parole ed immagini della precedente.

Nel 1590 esistevano già le tre sepolture nel pavimento, una delle quali appartenente alla famiglia Cattaneo, con il sepolcro di Bernardino, figlio di Jacobo.

La chiesa venne descritta dettagliatamente nell’inventario del 8 novembre 1617, compilato dal Ret­tore Giuseppe Rozati . la struttura fondamentale si è conservata identica fino ai nostri giorni, anche se venne restaurata ed ampliata intorno al 1684, ad opera del curalo Zoppis quando fu realizzato un nuovo coro, ampliata la navata centrale ed eseguita la nuova costruzione delle navate laterali. Alla base interna del campanile ci sono tracce della chiesa romanica originaria.

Delle tre navate quella centrale misurava 12 brazza di larghezza (mt. 7,20) e quelle laterali 8 brazza (m 4,80); la profondità in lunghezza era di brazza 32 (m 19,20), con un prolungamento di 3 brazza, desti­nato al coro. Questo era separato da una cancellata in ferro, che serviva da protezione per le numerose reliquie, che vi erano riposte in contenitori di legno argentato. L’altezza era limitata a 12 brazza, poco meno di otto metri e mezzo.

L’Altar Maggiore era formato da una mensa in sarizzo, sostenuta da quattro colonnine di mar­mo; al di sotto vennero riposte in una cassa di piombo entro un’arca di pietra le reliquie dei Santi, tra­sportati solennemente il 24 novembre 1615: a destra il corpo decollato di San Zeno, ed a sinistra quello di Santa Tecla.

Dietro l’altare si ergeva un maestoso tabernacolo di forma ottogonale, alto tre metri e mezzo, tutto istoriato ed indorato, con abbondanza di elementi decorativi barocchi, cherubini, angeli e fiorami.

Anteriormente in basso presentava una serie di bassorilievi; al centro era rappresentato il cenaco­lo, e sui lati la Natività e l’Ascensione di Maria. Al di sopra erano collocate due serie di statue indorate e dipinte, raffiguranti rispettivamente la Madonna, S. Giovanni, S. Carlo e S. Antonio, e i santi Bonifa­cio, Gaudenzio, Bernardino e Benedetto.

Il tabernacolo infine era avvolto da un padiglione, esternamente di tela cerulea e foderato interna­mente con un panno serico rosso, intessuto d’oro.

Il tabernacolo non venne ultimato prima dell’anno 1615, come confermerebbe la statua di San Carlo, la cui venerazione cominciava allora a fiorire; durante la visita del card. Taverna, nel maggio 1618 era ormai completato, e venne definito sanctuario artificiose elaborato.

In precedenza esisteva un modesto tabernacolo ligneo e indorato, con un ostensorio parimenti dorato, che veniva esposto quando si paventa la forza della grandine, si apre l’ostiolo e si prega.

Oltre alla sacrestia esisteva un Battistero con un ciborio intagliato; ma secondo l’antica consuetu­dine delle Pievi, il Rettore doveva recarsi a Caltignaga alla benedizione del fonte battesimale, riportando­ne poi alla parrocchia gli olii santi e l’acqua benedetta.

Nella navata di sinistra era posto l’altare di San Jacobo, presso il quale si riunivano i confratelli del Corpus Domini, il cui soffitto nell’anno 1597 era costituito da tavelle collocate solo parzialmente.

Nella navata di destra si trovava l’altare di S. Antonio e Giulio, al quale per un ventennio non si celebrò, essendo stato colpito da interdetto al tempo della peste del 1577.

Nel 1618 venne soppresso, per far posto alla Cappella del S. Rosario, eretta allora per iniziativa del Sacerdote Benedetto Pernate.

Anche l’altare di S. Jacobo venne demolito, e sostituito con un altro intitolato a Santa Maria, al quale era legato il beneficio chiericale, di patronato Cattaneo, consistente nella decima dei raccolti dei terreni situati verso sud in ragione di un sessantesimo.

Agli inizi del secolo si provvide alla installazione di un orologio meccanico, il cui funzionamento venne affidato alle cure di Carlo Bianco.

Finalmente nel 1684 ebbe inizio la più importante opera di ristrutturazione, con la sopraelevazione della navata centrale; venne inoltre ampliato il coro, rifatta la sacrestia, costruito l’oratorio del SS Sacramento. La parrocchiale, così rinnovata sotto la guida del Parroco Bernardino Zoppis, ottenne l’ambito riconoscimento vescovile, nel 1698, con il titolo di Arciprete per il suo pastore.

 

Piero Zanetta dal Volume MOMO CONTRIBUTI PER LA STORIA DI UNA LOCALITA' CHIAVE DEL MEDIO NOVARESE -  Comitato Festaggiamenti Santi Zeno e Tecla 1985