Cappella dei Santi Martiri Zeno e Tecla

Quando e come giunsero a Momo i Santi Zeno e Tecla

Singolare figura quella di Giovan Battista Cavagna o, meglio, per quella contrazione allora naturale del nome Giovan Battista e come risulta dai registri parrocchiali dell’epoca: Giobatta Cavagna. Nato a Momo verso la metà del XVI secolo da una modesta famiglia di contadini, desideroso di evadere dalla ristretta cerchia rurale in cui vive, si porta, ancor giovane, a Roma. Qui, dandosi da fare, riesce ad entrare in qualità di maestro di casa nel palazzo di Gerolamo Mattei, Cardinale della Curia Romana. Si direbbe che a contatto diretto con secoli di cristianesimo egli respiri meglio; il fasto barocco delle cerimonie religiose lo soggioga, ma quello che più lo colpisce (fermentano ancora nella sua immaginazione le prediche del suo buon parroco di campagna sui primi martiri della Chiesa) sono le catacombe, allora ben conosciute ma esplorate con criteri insufficienti: Egli sa la sua terra natale povera, addirittura priva, di reliquie, di corpi di santi che con il loro martirio avevano testimoniato la fede viva per il Cristo, ed è questo il suo cruccio maggiore.
Il suo solido sentimento cristiano allora si mette all’opera. Così, per quello stesso spirito d’iniziativa che lo aveva spinto nella città eterna, brigando presso le autorità ecclesiastiche, ingraziando i prefetti delle catacombe, egli ottiene di rilevare dalle medesime alcuni corpi. Il Cardinale Mattei ed il di lui fratello, Conte Asdrubale, gli offrono mezzi sufficienti per far giungere le insigni reliquie fino a Novara.
Ed ecco, il 30 luglio 1602 dalla Chiesa di San Michele nel borgo di Sant’Agabio, dove provvisoriamente erano state collocate, il Vescovo di Novara, il Venerabile Bascapè, con solenne processione le trasporta nella Cattedrale della città.
Nelle intenzioni del Cavagna due di questi corpi santi, che con le sue stesse mani aveva sottratto all’umida argilla romana ed i cui nomi: Tecla e Zeno, avevano colpito la sua fantasia, dovevano trovare la loro venerazione nella chiesa del villaggio in cui era stato battezzato. Grande riconoscenza!
Nel frattempo egli era tornato a Roma con la speranza di po-ter rimuovere altre reliquie che potessero arricchire la diocesi novarese, cosa che, ancora con discreta facilità, potè attuare. Ma il suo apostolato (apostolato sui generis) subisce a questo punto un brusco voltafaccia. Proprio mentre Novara s’accinge a festeggiare questo secondo trasporto di spoglie sacre, ecco che giunge da Roma un ordine perentorio d’incarcerazione nei suoi riguardi. È un colpo di mazza per il Vescovo che aveva per lui una profonda stima, per il clero e per tutti i fedeli.
A Roma infatti, era successo che persone invidiose del Cavagna ed in malafede avevano sollevato intorno alla sua per- sona voci non solo tendenziose ma anche calunniose, gettandolo così nel discredito presso le più alte autorità religiose. Naturalmente il Bascapè, da quell’illuminato spirito che fu, non credette vera alcuna di quel-le voci, ma, pur a malincuore, fu costretto ad incarcerare il Cavagna (il quale per puro caso sfuggì alla scomunica “ipso facto incurrenda”) ed a mettere tutte le reliquie sotto sequestro, compresi i corpi dei nostri santi che ancora non erano stati mandati a Momo.
Il Bascapè subito dopo inviò a Roma il suo Vicario Orazio Besozzi, il quale, faticando non poco, ottenne la liberazione del Cavagna ma un nulla di fatto per le reliquie, che negli ambienti ecclesiastici romani si dicevano false o perlomeno sottratte senza le dovute autorizzazioni.
Doloroso Calvario di questi Santi anche dopo morti. Calvario di oltre un decennio. Infatti soltanto quando il Bascapè si portò a Roma per la canonizzazione di San Carlo Borromeo, suo maestro, il Pontefice Paolo V lo autorizzò a distribuire i martiri nelle varie chiese novaresi già in precedenza stabilite, ma con un preciso divieto: che non si procedesse ad alcuna cerimonia e ad alcuna pompa.
Con atto datato 15 novembre 1615 redatto dal notaio Moroni, il canonico della Cattedrale di Novara Giovan Antonio Dulcio, delegato dal canonico Antonio Tornielli, Vicario Capitolare, in esecuzione del desiderio del Bascapè, di recente scomparso, consegnò al curato di Momo Giuseppe Rozzati ed al notaio Battista Rozzati, pure di Momo, i corpi dei due martiri, Era dal 1603 che i Santi Zeno e Tecla attendevano di giungervi. Così nella maniera più raccolta (ma le cose più raccolte sono da Dio più gradite) i corpi dei due martiri romani, in quell’Avvento del 1615, furono collocati sotto l’altare maggiore della nostra parrocchiale, allora di legno intagliato e dorato, in due urne di sasso da tempo preparate. Il voto di Giobatta Cavagna si compiva.
E sotto l’altar maggiore, che poi nel 1751 si costruì di marmo, rimasero le spoglie dei due nostri patroni fino al 1860. In quell’anno infatti, patrocinandolo il parroco Andrea Silva, i momesi eressero l’attuale cappella ed il 18 agosto ne celebrarono il solenne trasporto per le vie del paese. A quel tempo risale pure il primo rivestimento in cera dei due corpi.

In realtà a Momo di relique ne erano già arrivate diversi decenni prima, grazie alla donazione fatta dal teologo e prevosto di S. Ma­ria di Abbiategrasso, G. Paolo Bellino da Oleggio, al monastero ove viveva una sua nipote. Il 1° settembre 1585, in processione solenne, accompagnato dal curato G.M. Gambarona e da tutto il popolo salmodiante con fiaccole accese, il prevosto di Abbiategrasso si era recato alla chiesa di San Bartolomeo, ove consegnò la cassetta con le reliquie dei Santi Sisto Papa, Vincenzo e Anastasio che aveva raccolto in Roma alle Tre Fonti dell’Ordine Cistercense della Congregazione di San Bartolomeo.

 

Da UNA COMUNITA' E I SUOI SANTI di don Mario Perotti 

Piero Zanetta dal Volume MOMO CONTRIBUTI PER LA STORIA DI UNA LOCALITA' CHIAVE DEL MEDIO NOVARESE -  Comitato Festaggiamenti Santi Zeno e Tecla 1985


Sotto L'altare maggiore, nelle due piccole nicchie laterali, hanno trovato la prima collocazione i piccoli cofanetti conteneti le reliquie dei nostri Santi Zeno e Tecla prima che venisse costruita l'attuale urna e sistemata nella cappella.

“L'anno 1860 vede una vera e propria rivoluzione nella Chiesa Parrocchiale. La cappella fortemente voluta dalla popolazione e dedicata esclusivamente ai santi Zeno e Tecla è terminata”.

“Finalmente le reliquie dei compatroni possono essere traslate dall'altare maggiore dove so­no state poste in due urne di piombo l'anno 1615, (qualche mese dopo la morte del venerabile Ve­scovo di Novara Carlo Bascapè, avvenuta il 6 ottobre 1615), in questo nuovo prezioso tempietto. Gli abitanti di Momo lo hanno voluto decorato, con il cielo affrescato con santi e angeli del paradi­so”.

 

“Due finestre a vetri colorati illuminano di giorno il luogo; alle spalle verrà esposta una grande tela proveniente dalla chiesa di san Bartolomeo al Monastero (raffigurante in alto la Madon­na col Bambino e sotto: a sinistra san Bartolomeo, al centro due suore e a destra un Vescovo)”.

“Le sacre reli­quie troveranno degna sistemazione in due urne sovrapposte, di legno dorato, e lavo­rate a intaglio, e si­stemate in due model­li in cera di san Zeno e santa Tecla. I Santi compatroni potranno così essere facilmente visti da tutti grazie ad ampie vetrate. Il mo­mento è solenne; tutta la popolazione è pre­sente alla cerimonia”.



Giovanni Battista Cavagna

Di questo Cavagna si legge nella vita del Ven. Bescapè che, trovandosi esso in Roma come mastro di casa del Cardinale Girolamo Mattei, si procurò con le debite facoltà da religiosi e dai pre­fetti delle Catacombe moltissime sacre reliquie, e adorne le medesime in onorevole modo e coi se­gnali distintivi del martirio, autenticate con istromenti da notai e con lettere commendatizie del pre­lodato Cardinale Mattei e del Conte Asdrubale suo fratello, le portò a Novara in varie casse che si deposero prima nella chiesa di S. Michele al Borgo di S. Agabio fuori di porta Milano.

Da quella chiesa il Ven. Vescovo Bescapè con molta gioia e venerazione li 30 luglio 1602 le fece trasportare alla Cattedrale con solenne processione, alla quale invitato intervenne tutto il clero e molto popolo della Città e dei paesi circostanti. Indi distribuì quelle sacre Reliquie alla chiesa Cat­tedrale, a quella di S. Gaudenzio e ad altre, e a quella di Momo specialmente, come si disse, i corpi dei Santi Martiri Zeno e Tecla, ed a Suno il corpo di S. Genesio, facendo le loro ricogni­zioni e consegne constatate dal Cancelliere Michele Micheli.

Lieto di tanto successo il Cavagna tornò a Roma, ed ivi, associandosi un altro zelante sacer­dote Novarese, Flaminio Casella di Cavaglio, col pittore Giovanni Angelo Santini, che dal Papa a­veva il permesso di trarre disegni delle catacombe e quindi era di quelle assai pratico, vi discese e si spinse coi compagni ben innanzi in recessi, ove nessuno fin allora era penetrato.

S'internarono per quegli anditi sotterranei, resi quasi impraticabili dagli scoscendimenti e dalle infiltrazioni, con tali stenti da restare più giorni affranti e dover giacere a letto. Ciò non ostante riuscirono a trarre fuori varii corpi santi coi segnali autentici del loro martirio, come le ampolle del sangue, i nomi dei martiri scritti sulla calce che copriva i loculi, e le immagini delle fiere da cui era­no stati quegli eroi della fede sbranati.

Riposte le Reliquie in sei cofani suggellati coi relativi segni del Martirio, si avviarono con esse il Cavagna ed il Casella verso Novara; e giunti il 18 marzo 1603 al luogo di S. Martino detto del Basto (ora S. Martino Ticino) riposero le Reliquie in quella chiesa, dove il Vescovo Bescapè mandò il suo Vicario Generale Orazio Besozzi a riconoscerle; indi diè ordine che le chiese dei paesi circonvicini suonassero a festa le campane in segno di allegrezza. Poscia alli 20 dello stesso mese le fece condurre alla città in processione, alla quale concorsero tutto il clero, le varie fraterie e confra­ternite e i popoli vicini in tanto numero che dal detto luogo di S. Martino sino a Novara prendeva la processione ben sette miglia di strada.

Belle e grandi compagnie d'uomini armati eran guardie d'onore a quei pegni preziosi, che su di un carro in modo trionfale ornato erano da quattro bianchi cavalli condotti. Il clero che era rima­sto in Città uscì per incontrarli alla detta chiesa di S. Michele. Quivi furono lasciati con guardie e chierici fino al giorno seguente in cui furono con ancor più solenne e splendida processione portati alla chiesa Cattedrale. Erano state le vie della città pulite, parate e qua e là erettivi altari ed archi trionfali con belle ed ingegnose invenzioni, inscrizioni e dipinture. Portate le sante Reliquie fra mu­sicali concerti e suoni di trombe da sacerdoti si collocarono sull'ara massima.

Il Vescovo, venerando autore di tanta solennità, cui era sempre presente, all'altare vi pro­nunciò un'orazione, dalla quale traspira il sentimento di quell'anima grande e sinceramente pia. Compita la festa, fece deporre provvisoriamente le reliquie sotto lo stesso altare maggiore.

Ma intanto che egli accingevasi a distribuire anche queste Reliquie tra varie chiese, l'aureola di gloria onde circondavasi il Cavagna aveva in Roma sollevato verso di lui il venticello dell'invidia e della calunnia, onde anche da persone di alto stato si sussurrava essere lui un gran ciurmadore e le reliquie false o supposte, perché da assai tempo le catacombe erano vuotate di quei sacri depositi, o per lo meno essere stati da lui estratti senza autorizzazione dei superiori. A tali contraddizioni, seb­bene il Cavagna allegasse d'essere penetrato con le debite licenze in luoghi sin allora inesplorati, le voci a lui ostili acquistarono credenza, di che venne dal Papa ordine al Vescovo che senz'altro fosse messo in prigione e le Reliquie tenute in sequestro. Il Bescapè, quantunque a malincuore, dovette eseguire l'odine Pontificio e imprigionare il Cavagna che provò allora come ai voli troppo alti e re­pentini sogliono i precipizi esser vicini; però nel medesimo tempo seguendo gli impulsi del suo cuo­re si adoperò perché fosse quell'ordine rivocato. A tale scopo mandò a Roma il suo Vicario Orazio Besozzi il quale ottenne a grande stento la liberazione del Cavagna, ma nulla per le Reliquie.

Stettero perciò queste ben sette anni sequestrate finché il Bescapè, a Roma per la cano­nizzazione di S. Carlo, ottenne dal Sommo Pontefice Paolo V di poter distribuirle alle chiese della Diocesi senza però alcuna pompa.