CHIESA DI SAN FRANCESCO

già di San Bartolomeo

Risalgono alla fine del ’500 le scarne notizie reperite, epoca in cui la chiesa era accessibile ai fedeli e pertanto costituita da due parti completamente separate, allo scopo di rispettare la clausura alla quale erano tenute le monache, nel rispetto dei canoni tridentini. La parte aperta al culto pubblico si presentava in forma quadrata, con un tabernacolo antico e malamente indorato. Sulla parete divisoria era sistemata una grata che permetteva alle suore di seguire le celebrazioni della messa, mentre in un angolo una ruota permetteva di far giungere i paramenti. Nella parte interna del monastero era collocato un altariolo, con dipinte sacre immagini. Per antica consuetudine lo stesso cappellano del beneficio di S. Martino vi si recava a celebrare quel numero di messe al quale era tenuto ad adempiere.

Intorno alla fine del ’600 la chiesa venne abbellita, con l’erezione di un altare in marmo, ed un ancona raffigurante la Beata Vergine con i Santi Agostino e Bartolomeo.

Dopo la soppressione del monastero in epoca napoleonica, questo altare venne trasportato in Parrocchia nella Cappella del Suffragio nel 1815; successivamente venne incorporata nel tempietto costruito nel 1860 per accogliere le reliquie dei corpi dei Santi Zeno e Tecla.

La chiesa appartiene a un complesso di oltre 18.000 metri quadri che comprende due monasteri. Il monastero dell’Ordine delle Umiliate di San Benedetto, menzionato nella storia di Momo per la prima volta nel 1292. Il secondo monastero invece nasce in epoca successiva quando, tra il 1314 e il 1315, vi si trasferirono anche le “Umiliate” provenienti da Agnellengo e venne intitolato a San Bartolomeo. I due monasteri ebbero un ruolo importante nella vita dei paesi vicini. Grazie alla presenza in essi di monache provenienti da famiglie benestanti, il patrimonio agrario superava le 1500 pertiche milanesi, tali da garantire notevoli redditi e servizi. Gli stessi monasteri ebbero vita indipendente fino al 30 luglio 1543 quando le monache di Santa Maria Maddalena si trasferirono a Novara. La crescita del monastero di San Bartolomeo e il passaggio all'Ordine Agostiniano dello stesso, suscitò evidenti problemi tanto da provocare, il 22 marzo 1545, una bolla di scomunica di papa Paolo III contro "gli usurpatori dei beni mobili ed immobili di San Bartolomeo di Momo." Gli edifici attuali sono chiaramente frutto di varie ristrutturazioni e ampliamenti ancora leggibili anche sulle murature esterne, con presenze di brecciature, tamponamenti, fregi e resti pittorici assai significativi. Interventi importanti si ebbero già nel 1562 mentre la muraglia di recinzione è attestata in un documento del 25 gennaio 1604. L'attuale assetto del complesso fu realizzato dal 1627 al 1634 su progetto dell'architetto Francesco Solina, il quale intervenne radicalmente sulle strutture. Creò un nuovo chiostro con alte colonne in serizzo, con lati di metri 15x19 circa, in parte ancora visibile all'interno del civico numero 16, e aggiungendo una manica a colonnato di circa 25 metri, sul lato ovest della corte rustica, all'attuale numero civico 20. Anche la chiesa di San Bartolomeo, già ristrutturata nel 1617, venne nuovamente modificata e in essa, dopo le riserve del vescovo Bascapè, tornò a risuonare l'organo, l'unico di tutto il vicariato, secondo la grande sensibilità musicale delle Agostiniane, che disponevano qui di valenti monache organiste. Il seicento, che vide Momo disastrata dall'ultima drammatica pestilenza, fu veramente un secolo di grande vitalità per il monastero il quale richiamò presenze illustri, accogliendo fino a 38 monache professe oltre alle novizie e alle converse. La parabola storica di questa realtà si concluse il 7 maggio 1782 con il trasferimento delle monache a Novara. Seguirono varie vicende fino al 1805 quando tutti gli immobili vennero incamerati e venduti a privati, disperdendo preziose testimonianze. Furono fortunatamente salvaguardati alcuni arredi sacri, il prezioso altare in marmo e la pala raffigurante i Santi Bartolomeo e Agostino ricollocati nella chiesa Parrocchiale, mentre la chiesa di San Bartolomeo tornò di uso pubblico solo nel 1896.

 

I MONASTERI  DELLE UMILIATE : SAN BARTOLOMEO

Il monastero di Momo dovrebbe essere sorto ancor prima dell’anno Mille, in base a quanto si legge in un documento, datato al 25 gennaio 1604, che fa risalire la fondazione ad oltre seicento anni prima di quel giorno:

Moniales S.ti Bartolomei Mommi Ordinis Heremitani S.ti Augustini in dieta terra existentes, pro ut earum antecessores per annos sexcentum et ultra, quo tempore monasterium ipsum fundatum est, ut est videndum ex scripturis d. monasterii.

Nel tardo medioevo i due monasteri dell’Ordine delle Umiliate avevano svolto un ruolo primario nel contesto economico e religioso di Momo. Queste comunità di Umiliate, che traevano dal proprio lavoro i mezzi di sussistenza, nella seconda metà del ’400 attraversarono un periodo di evoluzione, imputabile forse alle mutate condizioni della società che portarono alla degenerazione delle regole primitive.

Allora si disse che non vigeva più la regolare osservanza, e questa accusa venne sostenuta dai reggitori del Comune di Novara, che miravano a porre sotto il loro controllo il monastero di San Bartolomeo. Forti della adesione del Capitolo del Duomo, fecero istanza al Vescovo Girolamo Pallavicino affinchè intervenisse presso Papa Innocenzo Vili per ottenere il decreto di unione con il monastero di Sant’Agata. Le monache, non gradendo tale decisione, ricorsero alla autorità del duca Ludovico il Moro, essendo la pratica inficiata per mancanza del placet ducale, e supplicandone la difesa contro quella calunniosa manovra.

L’intervento del Duca provocò la revoca della lettera apostolica, confermando la osservanza alle regole di S. Agostino, sotto la giurisdizione del Vescovo di Novara. Dopo di allora presero a vestire l’abito nero di lana, con l’interno bianco dell’Ordine Agostiniano, con un cingolo in cuoio ed in capo il velo nero orlato di bianco.

Se ne trova conferma in una congregazione del Capitolo, convocato dalla Domina Evangelista de Buziis, priorissa dicti monasterii, una cum...omnes monialesprofessa dicti monasterii Sancti Bartolomei de Mommo, ordinis Sancti Augustini de Observantia.

Le monache provenivano unicamente dalle famiglie altolocate, le quali erano tenute a corrispondere una ellemosina assai consistente, al momento del loro ingresso nell’Ordine; già all’inizio del ’500 la dote spirituale ammontava ad almeno 400 lire e verso la fine di quel secolo a non meno di 1200 lire. In quell’epoca il loro numero non superava la ventina di religiose e per la maggior parte erano professe; fra di esse vi erano da 3 a 6 converse, che venivano indicate come serve, nei documenti del ’500.

Le monache professe si congregavano in Capitolo per trattare tutti gli affari riguardanti la amministrazione del monastero; provvedevano a stipulare i contratti di affittanza dei beni di loro proprietà, dai quali ritraevano un consistente reddito.

Nell’anno 1562 furono eseguiti importanti lavori di ristrutturazione nel monastero, comprendenti la costruzione di un refettorio, facendo batere il muro verso matino, verso l’orto et rifarlo diritto con le sue fondamente; un corpo abasso con uno camino con la capa murata de tavelle, et più un corpo de sopra fato in tre chamere intermezzati con tre uschi et tre fenestre; et un portigo con gli coloni de sarizzo.

Le opere murarie furono eseguite da Mastro Zoanne de Gaudenzi e Jacomo de Gavinello, residenti a Bellinzago, i quali ricevettero per mercede 225 lire e due brente di vino.

All’inizio del Seicento non tardarono a manifestarsi gli effetti della Riforma, sia con l’aumento delle vocazioni, sia con la volontà di abbellire la chiesa. In conformità ai nuovi canoni l’amministrazione del monastero venne affidata al Vicario Generale G. Francesco Chiocario, con la qualifica di protettore; successivamente fu delegato anche a sovraintendere ai lavori di costruzione, come fabriciere. La normale gestione rimaneva di competenza delle monache e veniva esercitata da un consiglio direttivo composto dalla abadessa, vicaria e due discrete. Dall’anno 1609 fu istituita la carica di capellano,ed affidata al sac. Antonio Marucco, che per oltre un ventennio fu il loro padre spirituale. Fu un periodo di grande splendore per tutte le opere di ingrandimento e ristrutturazione, oltre che di fervore religioso. In breve tempo entrarono in monastero numerose novizie, ed il loro numero superò la trentina. La dote spirituale venne elevata alla ragguardevole somma di 2.400 lire, e grazie a questo contributo fu possibile finanziare tutte le spese delle nuove costruzioni.

Venne accolto anche un gruppo di educande che andavano a lavorare sotto la guida di una maestra, ma conducevano vita separata, ed erano alloggiate in un camerone.

La autorizzazione ad accogliere le educande nel monastero era stata approvata da un Sindacato di tutti i capi-famiglia di Momo, tenuto il 25 gennaio 1604,nella quale riunione decisero all’unanimità di affidare al loro compatriota M. Magnifico Signore G. B. Cavagna l’incarico di recare la supplica al Papa Clemente Vili, per ottenere da lui licenza affinchè le Monache possano, come in tempi remoti era già stato concesso, venire autorizzate ad accipiendi et velandi novas moniales et filias in eo educandas. Nella richiesta venne precisato che il monastero era recinto con sublimis muris e con le altre debite clausure, nel rispetto degli ordini del sacro Concilio tridentino, sottolineando soprattutto la irreprensibile condotta delle monache, sempre vissute honorifice et honeste.

Ma l’autorizzazione ad accogliere le novizie e le educande non ottenne l’approvazione dal Vescovo Bascapè, e la supplica venne rinnovata al nuovo Vescovo Card. Ferdinando Taverna, dai procuratori che molto crudamente gli esposero che non doveva tenersi in alcuna considerazione la motivazione l’interesse dal quale era stato mosso il suo antecessore Rev.mo Bascapè, il quale per la benevolenza che nutriva verso la Religione dei chierici di San Paolo, nella quale lui stesso era ascritto, si opponeva in vetando quin moniales velarentur et filias conturbenales tenerentur.

Nell’anno successivo 1617 giunse l’autorizzazione vescovile, e si cominciò a ristrutturare la chiesa di San Bartolomeo. Il lavoro fu eseguito da Ludovico e Bartolomeo Caimi, maestri cementari di Locate, nella Pieve di Appiano. Al termine dell’opera, il 2 novembre 1618, il Cavalier Cavagna, a titolo di gratitudine per il buon lavoro eseguito, offrì in dono ai due valenti maestri da muro alcune reliquie, da collocare nella loro chiesa di San Quirico.

Grandiosi lavori di ampliamento e di ristrutturazione del monastero furono eseguiti nel periodo compreso tra gli anni 1624 e 1627, sotto la guida dell’architetto e ingegnere Cav. Francesco Solina. Si ricorse all’opera di cinque maestri, guidati dal veterano Ludovico Caimi e da Cristoforo Almasio da Gorla Minore. Durante il primo anno vennero costruite le murature del portico, con posa di sette colonne intere e 6 mezzane, sistemati i tetti a nuovo, per un importo di lire 1.150, liquidate ai maestri stessi C5).

Era stato impartito l’ordine di procedere alla gagliarda, tanto che entro quello stesso anno le opere murarie erano quasi ultimate, per una spesa contabilizzata in lire 8.375; nel successivo anno 1625 vennero posati i serramenti ed i lavori in ferro, per un importo di 5.600 lire. Nel volger di poco tempo tutto il monastero apparve rimesso a nuovo; esisteva un forno di cottura, oltre alle cucine e agli orti; ma la roggia che entrava nel monastero non serviva più ad alimentare gli operosi macchinari dell’epoca medioevale.

Il numero di monache aumentò progressivamente nel tempo; nel 1698 il monastero accoglieva 38 professe, delle quali 20 con suffragio e 6 converse. Anche i beni patrimoniali erano in continua espansione: possedevano 5 case di cui 2 in Novara, e concedevano prestiti, che nel 1698 raggiungevano lire 49.965. Da un bilancio steso intorno alla fine del Seicento, risulta che la cavata annua ammontava a 11.720 lire, alla quale entrata dovevano aggiungersi altre lire 648, quale provento della educazione delle giovani.

Fino alla metà del Settecento il monastero attraversò momenti di grande fulgore; poi ebbe inizio un lento decadimento, causato dalle evoluzioni della storia, con la conseguente riduzione delle vocazioni, affievolimento nella guida, vita e amministazione della istituzione. Le conseguenze non tardarono a manifestarsi, e sfociarono in una supplica della Abadessa Maria Maddalena Guazzona al Vescovo, affinchè il monastero venisse chiuso, e le suore aggregate a quello di Sant’Agata a Novara. Il decadimento appare ben evidenziato dal rapporto, predisposto dal Vescovo Aurelio Balbis Bertone, in data 7 maggio 1782.

Nella piccola terra di Momo vi ha un Monistero di San Bartolomeo, ridotto presentemente a nove sole Religiose d’Officio e cinque Converse, oltre a due Serve, del tenue reddito di sei mila lire,... sebbene altre volte fosse molto più comodo a mantenersi fino a 50 religiose. Da lungo tempo non si è vestita che una giovane novarese...

In ottemperanza al decreto vescovile il monastero di Momo venne definitivamente chiuso, e dal 26 giugno di quello stesso anno le suore presero a vestire l’abito della Congregazione Lateranense, col rocchetto. Più tardi, in epoca napoleonica, seguì la confisca di tutti i beni, nell’anno 1805.

 

Piero Zanetta dal Volume MOMO CONTRIBUTI PER LA STORIA DI UNA LOCALITA' CHIAVE DEL MEDIO NOVARESE -  Comitato Festaggiamenti Santi Zeno e Tecla 1985